Le informazioni da raccogliere sul paziente per un’attenta osservazione clinica sono l’oggetto del lavoro pubblicato da Massimo Accorinti, Presidente della SIUMIO, su Oftalmologia Domani
Un approccio semplice e sistematico per trattare le uveiti anteriori acute, vale a dire la gran parte delle forme oggi diagnosticate. Questo lo scopo del lavoro pubblicato nell’ultimo numero di Oftalmologia Domani, che vede, quale primo autore, Massimo Accorinti, Presidente della Società Italiana Uveiti e Malattie Infiammatorie Oculari (SIUMIO), specialista in oftalmologia presso l’IRCCS Fondazione Bietti di Roma.
Nell’articolo, in particolare, viene descritta una metodologia di approccio alle problematiche che riguardano le uveiti e indicata la conseguente scelta terapeutica senza l’ausilio di indagini sofisticate. Delle informazioni da raccogliere, che compongono l’osservazione clinica del paziente, parla il dottor Accorinti che, in questa intervista, offre un prezioso vademecum anche all’oftalmologo non particolarmente esperto di infiammazioni oculari.
Dottore, quali sono le cause più comuni delle uveiti anteriori?
Le uveiti anteriori acute possono essere correlate a malattie reumatologiche (spondiloartrite sieronegativa, artrite reattiva, artrite psoriasica), infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), dermatologiche (psoriasi), nefrologiche (uveite associata a nefrite tubulo-interstiziale) e ad infezioni (virali, tubercolari, luetiche). Le uveiti anteriori croniche sono generalmente associate, nei bambini e negli adolescenti, ad artrite idiopatica giovanile, più frequentemente negli adulti ad artrite reumatoide, sarcoidosi, o essere espressione di flogosi croniche tubercolari. Un tipo particolare di uveite anteriore cronica e’ l’uveite di Fuchs, nella quale è stata dimostrata una forte correlazione con una pregressa infezione da rosolia. Purtroppo però una buona percentuale di uveiti, nonostante ogni sforzo prodotto per riconoscerne una causa, rimangono idiopatiche. Ma la storia ci insegna che, con l’affinarsi delle tecniche diagnostiche, quello che risultava idiopatico molti anni fa, oggi si è poi potuto correlare ad un dato agente patogeno.
Nell’articolo indicate un approccio semplice di diagnosi e scelta terapeutica.
L’obiettivo del nostro lavoro è quello di fornire al primo oftalmologo che esamina un paziente con uveite, anche se non particolarmente esperto di infiammazioni oculari, le indicazioni per un approccio metodologico sistematico alle flogosi uveali, che consenta di inquadrare la tipologia di uveite, formulare un’ipotesi diagnostica e prescrivere una serie di indagini mirate all’individuazione dell’etiopatogenesi della malattia. Questo approccio tende ad evitare l’esecuzione di un’indiscriminata serie di indagini, spesso inutili e costose, a volte producenti risultati di difficile interpretazione e non sempre correlati all’uveite sofferta, e che, inoltre gravano di costi sia il sistema sanitario nazionale che lo stesso paziente.
A quali segnali deve dare attenzione l’oftalmologo?
Dovrà osservare ogni dettaglio: la presenza o l’assenza di reazione pericheratica, la forma e la disposizione dei precipitati endoteliali, l’intensità dell’essudazione in camera anteriore rappresentata dal fenomeno di tyndall e dalla quantità di cellule infiammatorie, l’eventuale modificazione della struttura iridea, la formazione di sinechie iridolenticolari e di noduli iridei, il possibile coinvolgimento del vitreo (presenza di cellule ed opacità) e, raramente nelle uveiti anteriori, della retina, del nervo ottico e della coroide. Una volta raccolte le informazioni, che andranno necessariamente correlate all’anamnesi oculare e sistemica, l’oftalmologo sarà in grado di prescrivere una serie di indagini selezionate per confermare il suo sospetto diagnostico.
Quali sono le indagini usate comunemente per la diagnosi?
Nella maggior parte dei casi di uveite anteriore non vi è un coinvolgimento delle strutture posteriori oculari e quindi un esame alla lampada a fessura ed una biomicroscopia del segmento posteriore sono sufficienti per ottenere tutte le informazioni necessarie ad inquadrare la flogosi uveale. A questo punto, l’oftalmologo potrà prescrivere una serie di indagini sierologiche e radiologiche, volte ad individuare l’etiologia dell’uveite, ma anche le condizioni generali del paziente per il quale si può rendere necessaria una terapia sistemica, e richiedere eventualmente consulenze internistica, reumatologica ed infettivologica. È assolutamente da evitare di fornire al paziente un elenco infinito di esami, ma si deve adottare una selezione di accertamenti utili. Ogni tipo di uveite anteriore necessita di specifiche indagini. Ad esempio se siamo in presenza di un’uveite anteriore acuta monolaterale ipertensiva, con precipitati endoteliali di medio-grandi dimensioni ed in un paziente con una storia pregressa di lesioni corneali di natura da determinare, non sarà necessario prescrivere una tipizzazione HLA o esami radiologici per escludere malattie reumatologiche, perché le caratteristiche cliniche dell’uveite depongono per un’etiologia virale. Sarà quindi utile prescrivere una titolazione degli anticorpi antivirali sierici per confermare l’avvenuta infezione. Bisogna però ricordare che le infezioni virali sono ubiquitarie nella popolazione normale di tali infezioni, ed è quindi difficile dimostrare un contatto recente del virus con il paziente, temporalmente correlabile con l’insorgenza dell’uveite. Tuttavia, l’assenza di anticorpi sierici specifici, in un paziente immunocompetente, può far ragionevolmente escludere l’etiologia virale sospettata.
Nel lavoro sottolineate l’importanza di osservare l’epidemiologia dei casi.
Le nozioni di epidemiologia sono fondamentali per poter inquadrare adeguatamente la patologia. È importante studiare attentamente non solo la provenienza dei pazienti che richiedono un nostro consulto, ma anche i loro spostamenti. Ad esempio, nelle cause più comuni delle uveiti non vi sono riferimenti alle infezioni da Dengue, West Nile, Zika e rickettsie che sono sicuramente più presenti ad altre latitudini, ma che i viaggi turistici e i flussi migratori renderanno sempre più possibili nel futuro anche in Italia. Inoltre, è interessante notare come le uveiti che si associano alle malattie reumatologiche, o soltanto all’antigene di istocompatibilità HLAB27 che può predisporre a questo tipo di patologie, che si caratterizzano per essere uveiti anteriori acute recidivanti, bilaterali ma nella maggior parte dei casi non sincrone (la cosiddetta uveite a ping-pong, poiché può interessare entrambi gli occhi in tempi diversi), siano senza dubbio più frequenti a latitudini superiori a quella della nostra nazione.
Le uveiti possono essere considerate gli epifenomeni di malattie sistemiche. Quali?
È impensabile pensare di curare l’occhio senza contestualizzare la situazione nell’interezza dello stato di salute generale del paziente. In alcuni casi l’uveite può essere l’epifenomeno di una malattia sistemica che potrà manifestarsi anche a distanza di anni, mentre in altri casi è già presente a livello subclinico. Se il paziente soffre di uveite anteriore acuta monolaterale o bilaterale alternante con determinate caratteristiche cliniche quali iperemia oculare, annebbiamento o riduzione dell’acuità visiva, presenza di precipitati endoteliali fini, intensa essudazione in camera anteriore e riduzione della pressione endoculare rispetto all’occhio controlaterale non affetto, bisogna senz’altro indagare se presenta, ad esempio, dolori in regione lombare, insorgenti durante la notte o al mattino, che scompaiono con l’attività fisica. Tali peculiarità devono far sospettare la presenza di una condizione di spondilite sieronegativa e suggerire all’oculista, quanto meno, di far eseguire al paziente una risonanza magnetica nucleare delle articolazioni sacroiliache o proporre in prima istanza una consulenza reumatologica. Se tutto risulterà negativo è obbligo dell’oculista allertare il paziente affinché, anche in assenza di manifestazioni oculari, si rivolga al medico di famiglia qualora insorgessero tali sintomi. Questa tipologia di uveite si manifesta con le stesse caratteristiche cliniche anche nei pazienti con psoriasi, con malattie infiammatorie intestinali croniche e con artrite reattiva. Nei pazienti con uveite cronica, nell’infanzia e nella prima adolescenza, è invece obbligo dell’oculista indagare sulla presenza di un eventuale interessamento articolare, ricordando che tali uveiti possono essere associate alla presenza di un’artrite idiopatica giovanile, a volte frusta, e quasi sempre interessante poche articolazioni. Inoltre non bisogna dimenticare che in un 10-20% di questi pazienti l’uveite può anche precedere l’interessamento articolare di qualche anno. Fondamentale comunque richiedere sempre una consulenza reumatologica pediatrica.
Nell’articolo citate uno studio che ha coinvolto 168 pazienti in cui sono state osservate le caratteristiche cliniche più frequenti nelle uveiti anteriori acute virali.
Il nostro studio si è focalizzato sulla possibilità di correlare statisticamente una serie di caratteristiche cliniche del paziente con uveite alla causa della flogosi sofferta, ed in particolare sulla possibilità di distinguere fra uveiti anteriori acute virali e non virali. Le uveiti virali sono nella stragrande maggioranza dei casi monolaterali, possono insorgere in pazienti con una storia di pregressa cheratite, presentano precipitati endoteliali di medio-grandi dimensioni e sono accompagnate, nelle fasi acute, da ipertono oculare. Se recidivanti, possono anche presentare un’atrofia iridea, caratteristicamente a settore nelle infezioni da herpes simplex e zoster, e più diffusa nelle uveiti da cytomegalovirus. Le uveiti non virali hanno più frequentemente una durata limitata, una maggiore incidenza di reazione pericheratica e di precipitati endoteliali fini, mentre in rari casi si ha un aumento della pressione endoculare. In particolare in un paziente con uveite anteriore acuta monolaterale, ipertensiva (con pressione endoculare ≥ 24 mmHg) e con zone di atrofia iridea la combinazione di questi segni conferisce un’elevata probabilità di essere in presenza di un’uveite virale: la sensibilità di tale associazione è infatti del 94%, la specificità del 100%.
Vale la pena di iniziare una terapia sintomatica prima di inviare il paziente a un centro specialistico di riferimento?
Qualsiasi paziente che si presenti ad un oftalmologo con una flogosi uveale in atto necessita di un trattamento da eseguire il più precocemente possibile. Nel caso specifico di uveiti anteriori, qualora vi siano le condizioni cliniche, si può iniziare anche solo con una terapia locale, che non inficia i risultati delle indagini sierologiche che si vogliano prescrivere. Ora abbiamo gli strumenti statistici che ci possono confermare come la contemporanea presenza di determinate caratteristiche cliniche debba suggerire un inquadramento dell’uveite anteriore acuta come espressione di un’infezione virale. In questi casi il mio consiglio personale è di aggiungere, unitamente alla terapia sintomatica, anche una terapia specifica antivirale, per evitare una comparsa/recrudescenza di una lesione corneale o una progressione dell’infezione alle strutture posteriori.
Una volta eseguito il primo trattamento per l’uveite anteriore, con o senza la prescrizione di indagini specifiche, l’oftalmologo può decidere se, per la necessità di procedere ad ulteriori esami specifici (ad esempio ricerca del DNA virale nell’umore acqueo) o a particolari consulenze, o per l’effettuazione di terapie non eseguibili in regime ambulatoriale, o per un più adeguato follow-up delle possibili complicanze delle uveiti anteriori, inviare o meno il paziente a centri di riferimento di secondo o terzo livello.