La riabilitazione visiva è un processo terapeutico finalizzato a migliorare o ripristinare le capacità visive di un individuo che abbia subito un danno o una perdita parziale delle performance visive e pertanto definito ipovedente, in modo da supportarlo più efficacemente nello svolgimento delle attività quotidiane, sociali e lavorative, massimizzandone l’indipendenza e la qualità della vita (Leat, et al., 1999; van Nispen, et al., 2020).
Tale riabilitazione si concentra su tre punti fondamentali (Trauzettel-Klosinski, 2011; Antal and Sabel, 2019):
- recupero della funzione visiva residua;
- adattamento alle nuove condizioni visive;
- ottimizzazione dell’uso del residuo visivo e associato alla sovra-stimolazione degli altri organi di senso.
Le cause di ipovisione più frequenti sono la degenerazione maculare correlata all’età, la miopia degenerativa, le eredodistrofie come la retinite pigmentosa, la distrofia dei coni e la degenerazione di Stargardt, il glaucoma e le otticopatie atrofiche, la retinopatia diabetica (GBD 2019).
La riabilitazione visiva prevede oltre all’uso di strumenti speciali come prismi, lenti e apparecchiature elettroniche (Kaur and Gurnani, 2023; Virgili et al., 2018), l’utilizzo di specifiche tecniche di neuromodulazione atte a stimolare il cervello e la neuroretina (Antal and Sabel, 2019; Limoli, et al. 1999), finalizzate alla formazione di neosinapsi, alla riduzione dei fenomeni di inibizione postsinaptica, alla sincronizzazione dei segnali, alla riduzione dei “rumori di fondo”.
Inoltre, prevede l’impiego di tecniche farmacologiche (Brieger, et al., 2012) e cellulari (Zarbin, 2019; Limoli, et al. 2020; 2021) atte a garantire il neuroenhancement delle cellule target, attraverso la riattivazione mitocondriale, la riduzione degli effetti infiammatori della patologia retinica, il miglioramento emoreologico, il contenimento dello squilibrio ossido-riduttivo, e in ultima analisi dell’apotosi cellulare conseguente. Questi approcci aiutano a migliorare la funzione visiva, e a contenere la progressione di alcune malattie.
Gli ipovedenti sono spesso anziani e la patologia neuroretinica coesiste quasi sempre con una cataratta in un qualunque stadio evolutivo: la qualità visiva si riduce non solo per la patologia di fondo, ma potenzialmente anche per l’evoluzione della cataratta.
Per fare un esempio, la degenerazione maculare correlata all’età, che è la più frequente causa di ipovisione nell’anziano, è alla base della compromissione visiva nel 10% delle persone di età superiore ai 65 anni e nel 30% di quelle al di sopra dei 75 anni. Se l’AMD è associata a cataratta, sopra i 64 anni la vista è compromessa nel 74% dei casi (Gheorghe, et a. 2015; Guymer and Campbell, 2023).
Anche nel caso di pazienti più giovani, divenuti ipovedenti per miopia elevata o per retinite pigmentosa, può essere necessario affrontare un intervento chirurgico con facoemulsificazione. La facoemulsificazione con l’impianto della IOL più opportuna può addirittura semplificare il modo di vedere del paziente ipovedente (Tennant and Connolly, 2002), anche se non vanno sottovalutati i rischi che la procedura chirurgica ha nei confronti della patologia neuroetinica sottostante.
Alla luce di quanto su esposto, può essere utile redigere delle linee guida di riferimento finalizzate al conseguimento del miglior risultato possibile, nei tempi più opportuni, per l’esecuzione dell’intervento di cataratta ed il successivo percorso riabilitativo nei pazienti affetti da ipovisione (Ku, et al., 2011; Mönestam and Wachtmeister; 1997; Limoli, et al., 2009).
Paolo Giuseppe Limoli1, Marcella Nebbioso2
1 Low Vision Research Centre, Milano
2 Dipartimento degli Organi di Senso, Centro di Elettrofisiologia Oculare, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma
Fonte: OftalmologiaDomani.it