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La chirurgia 3D in oftalmoplastica. Nostra esperienza e revisione della letteratura - EyesON EyesON La chirurgia 3D in oftalmoplastica. Nostra esperienza e revisione della letteratura - EyesON

La chirurgia 3D in oftalmoplastica. Nostra esperienza e revisione della letteratura

Abstract

L’uso di apparecchiature 3D ha dimostrato di possedere numerosi vantaggi in termini di insegnamento, visualizzazione migliorata e personalizzata, diagnostica intraoperatoria (tra cui visualizzazione in tempo reale di esami TC preoperatori) e soprattutto ergonomicità del chirurgo, riducendo il rischio di lesioni cervicali e lombari.

Può essere inoltre utilizzata con buon successo la strumentazione 3D in modalità endoscopica nella chirurgia delle vie lacrimali, permettendo di fondere i vantaggi dei dispositivi 3D alle telecamere in dotazione agli endoscopisti. Tuttavia, sono presenti alcuni limiti, in particolare la necessità di girare il collo in quanto il display non può essere sempre posizionato davanti al chirurgo. Inoltre, per la chirurgia oftalmoplastica, che non dipende come per altre branche chirurgiche oculistiche dall’uso di apparecchiature di visualizzazione innovative, gli alti costi potrebbero rappresentare dei limiti al suo utilizzo.

La nostra esperienza, basata su una valutazione sui vantaggi e limiti sia a confronto con i sistemi tradizionali che con quanto rilevato da altri chirurghi che utilizzano abitualmente sistemi di visualizzazione 3D in altri ambiti della chirurgia oculare, è risultata in linea con quanto già riportato in letteratura.

Introduzione

Nel 1840 Charles Wheatstone introduce per primo l’uso della stereoscopia: immagini fisse vengono visualizzate dall’osservatore in tre dimensioni grazie ad un effetto che viene prodotto collocando due immagini dello stesso soggetto all’interno di una scatola di visualizzazione, detta stereoscopio, che utilizza lenti per far convergere le immagini l’una sull’altra e consentire l’illusione.

L’idea è resa popolare da un’immagine in 3D della Regina Vittoria proposta e divenuta famosa alla Grande Esposizione del 1851.

Con l’utilizzo della polarizzazione circolare, due immagini vengono invece proiettate sovrapposte sul medesimo schermo circolare attraverso filtri di polarizzazione opposta e lo spettatore indossa occhiali con una coppia di filtri polarizzatori circolari montati in senso inverso: la luce destinata al filtro polarizzatore circolare sinistro viene bloccata dal filtro polarizzatore circolare destro, e viceversa.

I film in 3D più vecchi venivano visti attraverso speciali occhiali rossi e blu o a volte rossi e verdi. Le immagini venivano proiettate in questi colori (rosso e blu) e gli occhiali assicuravano che ogni occhio ricevesse solo una delle immagini che, grazie all’elaborazione del cervello ed ai meccanismi di fusione, realizzavano l’effetto tridimensionale.

I film più recenti utilizzano invece occhiali polarizzati che sfruttano la possibilità che luce possa essere polarizzata, ovvero ricevere orientamenti diversi. I nuovi occhiali 3D con lenti polarizzate non hanno bisogno di colori separati e possono offrire un’esperienza molto più realistica.

L’effetto tridimensionale viene creato filmando l’intero film con due telecamere. Il modo in cui l’essere umano giudica le distanze più ravvicinate e le differenze di distanza è dovuto a un effetto chiamato parallasse.

Se mettete un dito davanti a voi e lo guardate con l’occhio destro e quello sinistro, uno alla volta, vedrete che lo sfondo sembra muoversi rispetto al vostro dito anche se siete completamente fermi. L’idea alla base della realizzazione di un film in 3D è che, se si utilizzano due telecamere montate l’una sull’altra – proprio come i nostri occhi – il film deve essere visto in modo tale che solo l’occhio destro possa vedere ciò che la telecamera destra ha ripreso e viceversa per l’occhio sinistro.

In questo modo lo spettatore percepisce le informazioni di profondità che sono state originariamente riprese dalle telecamere.

Successivamente tali immagini vengono elaborate in tre dimensioni dal nostro cervello. La parte più difficile per i produttori di film in 3D è far sì che la telecamera faccia la stessa cosa, in modo da avere le immagini giuste da inviare ai nostri occhi attraverso lo schermo del film.

Emanuele Siotto Pintor 1-3, Davide Turco 2, Cosimo Belcastro 2, Giuseppe Vadalà 3

1 Arnas – Div. Oculistica Ospedale San Michele – Cagliari
2 Asl To1 – S.C. Oculistica Ospedale Oftalmico – Torino
3 Asl To4 – S.S.D. Oculistica A.C. – Chivasso (TO)

Fonte: OftalmologiaDomani.it

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