Le opzioni farmacologiche per trattare la malattia vanno valutate in relazione allo stato del paziente, come spiega Gemma Rossi, oftalmologa e responsabile dell’ambulatorio Glaucoma della Asst Bergamo Est
L’approccio medico è il primo step per compiere la diagnosi della malattia glaucomatosa. “Per il trattamento ci sono diverse opzioni”, spiega in questa video intervista Gemma Rossi, oftalmologa, responsabile dell’ambulatorio Glaucoma Asst Bergamo Est, professore a contratto presso l’Università degli studi di Pavia e ricercatrice della Fondazione Irccs policlinico San Matteo.
“Sono quattro le categorie di colliri fra cui optare: betabloccanti, inibitori topici della anidrasi carbonica, Alfa-2 agonisti e prostaglandine. A cui però aggiungiamo le nuove rho chinasi, la pilocarpina e i miotici, sebbene queste ultime due soluzioni siano meno utilizzate negli ultimi tempi anche per ragioni di minore compliance del paziente”, specifica l’esperta, che non nasconde come la passione per la malattia glaucomatosa le derivi dalla formazione presso la Scuola di Pavia che negli anni ha visto susseguirsi molti luminari nel campo.
La scelta della strada farmacologica migliore dunque dipende dalla valutazione dell’efficacia e dell’impatto sulla qualità di vita del paziente: “se possibile – continua la specialista – è preferibile consigliare una terapia non solo che funzioni ma che sia ben tollerata magari con una sola somministrazione al giorno”. In genere, la scelta cade sulle prostaglandine o sul betabloccante. Da poco, inoltre, l’introduzione delle rho chinasi in associazione con le prostaglandine viene suggerita anche ai pazienti che possono avere complicazioni cardiologiche.
In generale, “è importante – prosegue – fare un’accurata anamnesi, prima di prescrivere il trattamento. Nella opzione terapeutica, andiamo a scegliere il farmaco con la migliore efficacia ed il dosaggio minore. Il problema del glaucoma è che andiamo a indurre, una volta introdotto il farmaco, una serie di alterazioni della superficie oculare. Perciò fra le indicazioni da tenere a mente c’è la preferenza di un collirio possibilmente senza conservanti, tipo il benzalconio, che è tossico. Scegliamo – sottolinea la dottoressa Rossi – in maniera consapevole”.
Riguardo alle tecniche diagnostiche, come la tonometria che rileva la pressione intraoculare, la specialista aggiunge: “se vogliamo usare strumenti non a contatto va bene. Tuttavia il gold standard resta il ‘famoso’ tonometro di Goldmann pur con fattori di conversione” in alcuni casi particolari. Nella diagnosi, inoltre, offre una mano anche l’imaging. “Al momento – osserva Rossi – l’esame di elezione, quello dal quale non si può prescindere, è quello del campo visivo. L’Oct lo consiglio per il monitoraggio della progressione”. Sull’uso della elettrofisiologia, infine, che potrebbe dare un ulteriore contributo alla diagnosi precoce, la dottoressa afferma: “è utile ma l’esame è complesso perché prevede l’applicazione di elettrodi”.
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